Space Harrier, il significato della velocità
Space Harrier è stato per molto tempo un gioco che mi ha tolto il sonno. Era il 1985 e quel cabinato con la cloche, che si muoveva seguendo le traiettorie del personaggio, è stato per me, allora 12 enne, qualcosa di sconvolgente. Saliamo sulla DeLorean e prepariamoci ad un viaggio indietro nel tempo alla riscoperta di una leggenda!
Space Harrier, quando Sega dominava
Eccoci atterrati nel 1985, un anno passato alla storia per la nevicata del secolo. Qui a Torino mai avevo visto, e mai ho più visto, cadere così tanta neve: ad inizio anno la città era letteralmente paralizzata, con somma gioia di noi piccoli che non dovevamo andare a scuola e passavamo le nostre giornate sulle strade coperte da oltre un metro di neve. Ebbene, cosa accadde nell’Ottobre di quell’anno? Il primo ottobre l’aviazione israeliana bombarda la sede dell’OLP, mentre il due Ottobre esce Space Harrier, un nome che a breve sarebbe divenuto storia, rinforzando il dominio di Sega in ambito videoludico.
Cenni storici
Space Harrier, in origine, doveva essere un gioco a tema militare in terza persona, caratterizzato da un jet controllato dal giocatore. Qualcuno ha per caso pensato ad After Burner? Credo tutti quanti! Ma le molte restrizioni tecniche e di memoria hanno portato lo sviluppatore di Sega Yu Suzuki a ridisegnarlo attorno a un personaggio umano. Per fortuna il concept originale non venne buttato via ma conservato in attesa che la tecnologia fornisse un supporto adeguato. Ovviamente cambiò completamente anche l’ambientazione del gioco, ed ecco nascere il mito!
Signore e singori, ecco Space Harrier
Space Harrier è uno shoot em up con vista in prospettiva dietro al protagonista, cosa rarissima da vedere in quegli anni. L’ambientazione è decisamente fantasy, composta da paesaggi dai colori vivaci dominati da motivi a scacchiera e oggetti fissi come alberi o pilastri di pietra. All’inizio del gioco si viene accolti da un campionamento vocale incredibile che dice “Welcome to the Fantasy Zone. Get ready!”: questo era sufficiente per mandarci svenuti a terra. Il personaggio principale, chiamato semplicemente Harrier, viaggia veloce tra di diciotto fasi mentre utilizza un cannone laser. Questo è dotato di motore a propulsione che gli consente di volare e sparare contemporaneamente.
L’obiettivo è semplice quanto diretto: distruggere tutti i nemici, che variano da animali estinti ai draghi cinesi, ai robot volanti, agli oggetti geometrici sospesi nell’aria passando per strane forme extraterrestri simili alle uova degli Alien. Tutto questo rimanendo in costante movimento per schivare proiettili e ostacoli fissi. Particolarità dell’arcade è il controllo: esso è costituito da una leva di volo, sia nel cab semplice verticale che in quello deluxe. Quest’ultimo è dotato di un motore idraulico che si inclina e ruota durante il gioco. In Giappone è chiamato gioco arcade taikan, che letteralmente si può tradurre come “sensazione del corpo”.
Livelli di gioco
Il gioco è composto da diciotto frenetici livelli, quindici dei quali contengono un boss alla fine, il quale deve essere ucciso per passare alla fase successiva. Il livello diciotto è una folle sfida contro sette boss incontrati fino a quel momento, i quali appaiono individualmente e sono identificati per nome nella parte bassa dello schermo. I livelli rimanenti sono dei bonus stages che non contengono nemici e in cui Harrier cavalca un drago di nome Uriah. Qui dovremmo guidarlo per distruggere ostacoli fissi e fare più punti possibile. Ogni volta che si termina con successo un livello un’altro spettacolare campionamento vocale ci dice “You’re doing great!”
Una volta perse tutte le vite, cosa assolutamente non difficile, si può continuare il gioco inserendo gettoni a manetta. Come accadeva nella quasi totalità degli arcade anni ottanta, dopo il completamento di tutte le fasi, avremo solo un mesto “The End” prima che il gioco torni alla schermata del titolo, indipendentemente dal numero di vite extra del giocatore rimaste.
La genesi di Space Harrier
Fu un designer di Sega, di nome Ida, a concepire il gioco, scrivendo un documento di 100 pagine. Egli propose l’idea di uno sparatutto tridimensionale contenente la parola ” Harrier ” nel titolo. Questo perché, inizialmente, il protagonista doveva essere un jet da combattimento che sparava missili. Questo concept fu respinto a causa dell’immenso lavoro richiesto per rappresentare in maniera realistica l’aereo da diverse angolazioni: i limiti di memoria delle macchine arcade dell’epoca ne rendevano impossibile la realizzazione. Lo sviluppatore Yu Suzuki ebbe però il lampo di genio, semplificato il personaggio del titolo ad un essere umano. Questo richiese meno memoria e meno frames da rappresentare sullo schermo.
Ha poi riscritto l’intera idea originale, cambiando logicamente l’ambientazione da reale a fantascientifica e mantenendo solo il nome “Harrier”. Suzuki, per il nuovo design del gioco, prese ispirazione dal il film del 1984 La Storia Infinita (The Neverending Story), e dalla serie anime del 1982 Space Cobra. Alcuni nemici, come ci siamo accorti tutti da subito, sono stati disegnati sui personaggi della serie anime Gundam. Fortunatamente un tributo al designer originale esiste nel gioco: è il personaggio nemico chiamato Ida, una grande testa di pietra galleggiante simile a un Moai. Il motivo fu perché il designer “aveva una testa davvero grande”.
Tre cabinati disponibili
Per rendere giustizia a questo ambizioso titolo furono prodotti tre diversi cabinati arcade: un cabinato verticale, una versione sit-down fissa, e la sua versione più famosa, un cabinato mobile deluxe in stile cabina di pilotaggio. Esso era montato su una base motorizzata che si muoveva a seconda della direzione in cui il giocatore indirizzava la leva. Non fu un compito semplice arrivare a cotale set. Narra la leggenda che Sega era riluttante nel far costruire cabinati dedicati a causa degli alti costi di costruzione. Suzuki, che aveva ideato e proposto i progetti dei cab, offrì il suo stipendio come compenso se il gioco non avesse venduto. Fortunatamente la storia ci racconta che invece diventò un grande successo nelle sale giochi.
Tutti i cabinati in questione utilizzavano, per il movimento, una leva di volo analogica. Essa consentiva il movimento sullo schermo in tutte le direzioni, mentre la velocità del volo del personaggio è costante. I due pulsanti di fuoco, separati, sono montati sulla leva ed entrambi possono essere premuti per sparare ai nemici.
Il Super Scaler all’ennesima potenza
Space Harrier fu uno dei primi giochi arcade a utilizzare la grafica a 16 bit e la tecnologia “Super Scaler”. Essa consentiva il ridimensionamento in tempo reale degli sprite “pseudo-3D” a frame rate elevati, con ben 32.000 colori sullo schermo. La scheda di sistema arcade Space Harrier era la medesima utilizzata, sempre nel 1985, da Hang-On. In Space Harrier il Super Scaler si utilizza per gli sfondi mentre la grafica dei personaggi è basata su sprite. Nel 2010 Suzuki ha affermato in un’intervista che i suoi progetti “erano sempre 3D dall’inizio. Tutti i calcoli nel sistema erano 3D, a partire da Hang-On. Ho calcolato la posizione, la scala e la velocità di zoom in 3D e li ho convertiti in 2D. Quindi pensavo sempre in 3D”.
Space Harrier, una colonna sonora passata alla storia
La colonna sonora del gioco è a cura di Hiroshi Kawaguchi, che compose le bozze su un sintetizzatore Yamaha DX7 e scrisse le versioni finali su spartito, questo perché all’epoca non esisteva un “vero” sequencer musicale su cui lavorare. Il cuore del sistema era composto da una CPU Z80 che alimentava sia un chip Yamaha YM2203, che l’unità PCM utilizzata per l’audio e i campioni vocali digitalizzati. Questo artista, conosciuto anche come Hiro, riuscì a tirare fuori dal cilindro una vero capolavoro di melodia, una colonna sonora che sta di diritto nell’olimpo delle opere d’arte di chip music.
Ricezione e successo mondiale
Il gioco ha avuto un successo commerciale praticamente immediato. Sega presentò Space Harrier all’Amusement Machine Show in Giappone nell’autunno del 1985 e, nel gennaio del 1986, Game Machine citò Space Harrier come best seller nelle classifiche mensili dei cabinati arcade in Giappone. Rimase in cima alle classifiche arcade per gran parte del 1986, diventando il secondo cabinato arcade con il maggior incasso del Giappone, secondo solo Hang-On.
Clare Edgeley di Computer and Video Games lo definì un “crowd stopper”, grazie alla sua cabina di pilotaggio “realistica”, alle capacità grafiche ai “sorprendenti paesaggi technicolor”. Al tempo stesso avvisò i giocatori che: “A meno di essere degli esperti, lo troverete molto difficile”. Mike Roberts della rivista Computer Gamer ne elogiò la grafica “molto buona” e gli effetti 3D “abbastanza ben fatti”. Egli mise il cabinato deluxe al primo posto nella sua lista personale dei migliori giochi arcade di Sega. La critica, unanimemente, lo elogiò per la sua grafica innovativa, il gameplay e il cabinet incredibile, nonché considerato tra i migliori lavori di Suzuki.
Conversioni di Space Harrier
Ovviamente un simile successo mondiale vide la luce anche sui maggiori home computer e console di gioco. Andiamo a vederne qualcuna nel dettaglio.
Master System
Il primo port è stato logicamente quello per la console di casa nel 1986, sviluppato da Sega AM R&D 4. Abbiamo tra le mani la prima cartuccia da due megabit prodotta per la console. Grazie a ciò abbiamo tutti i diciotto livelli ma i fondali sono stati omessi, lasciando solo un orizzonte monocromatico e i pavimenti a scacchiera. Abbiamo in più un boss finale esclusivo, un potente drago di fuoco a doppio corpo chiamato Haya Oh, che prende il nome dall’allora presidente della Sega Hayao Nakayama. Ci sono altre differenze con l’originale, come la dicitura “Land of the Dragons”, invece che “Fantasy Zone” e l’aggiunta di un finale al posto del semplice messaggio “The End”.
C64
Nel 1987 uscirono le due conversioni di Space Harrier per il biscottone. Quella Americana recita nei title screen Sega e Chris Butler, mentre quella Europea cita la Elite Systems. Le due versioni sono differenti per quel che concerne grafica e giocabilità, mentre il sonoro è il medesimo. Il gioco è stato “snellito”, con solo 12 livelli invece di 18, oltre a mancare i livelli bonus. Manco a dirlo la versione americana è quella meglio riuscita, con le righe nei fondali a dare quel senso di velocità che manca nella controparte europea. Qui infatti il fondale monocromatico, e i soli oggetti fissi, non riescono a dare il senso di velocità che è l’anima del gioco.
Comunque non siamo davanti a due capolavori: i fotogrammi sono scarni e si verifica una sorta di tremolio quando si avvicina un ostacolo. Questo effetto è intensificato dalla presenza simultanea di nemici: gli oggetti su schermo spariscono per una frazione di secondo, perché il gioco non può visualizzare tutti gli sprite contemporaneamente. Ecco che è quasi impossibile evitare i pericoli, complice anche una collisione approssimativa.
Zx Spectrum
Sempre la Elite Systems cura la conversione per Zx, uscita nel 1986. L’iconica immagine di presentazione lascia ben sperare, risultando effettivamente molto ben fatta. Una volta settati i parametri base per iniziare a giocare si parte. La prima cosa che salta alle orecchie è l’assenza di una qualunque melodia nel gioco, nel quale troveremo solo gli effetti sonori di spari ed esplosioni. L’effetto speed è reso splendidamente dal fondale a schacchi che, oltre a richiamare l’oroginale, corre davvero veloce senza incertezze. Purtroppo i limiti cromatici rendono difficile proseguire nel gioco: lo sprite principale ha la caratteristica di assorbire i colori della zona che si sta attraversando. Solo in pieno cielo è facile capirci qualcosa, quando si attraversa il background diventa piuttosto casuale evitare ostacoli e colpire nemici.
NES
Il 6 Gennaio 1989 la befana arriva a cavallo del cannone laser sull’otto bit di casa Nintendo. Una volta inserita la cartuccia ci accoglie una schermata bella colorata e i medesimi sono belli presenti anche in game. Peccato per una grafica troppo fumettosa rispetto all’originale. I fondali a scacchiera corrono ma mai così fluidi come dovrebbero essere e il problema del numero di sprite sullo schermo limita molto le ondate nemiche, che soffrono di qualche sfarfallio di troppo. Musicalmente il leggendario tema è qui riprodotto in maniera decente anche se si poteva fare qualcosa di meglio.
PC Engine
Uscito nel 1988 in Giappone e circa un anno dopo per il gemello americano Turbo Grafx, la versione per la magica macchina di Nec è un lusso che pochi fortunati potevano permettersi qui da noi. La conversione rende un gran bene oggi come allora, a partire dalle sintesi vocali da urlo. La grafica, ovviamente ridimensionata, è da capogiro: l’unico compromesso è stata la sparizione degli iconici fondali a scacchiera, con al loro posto quelli più semplici a righe. Per il resto lo sprite principale è perfetto, gli oggetti colorati da paura e i nemici lasciano a bocca aperta. Il tutto ad una velocità incredibile. Il comparto audio è di livello: gli effetti sonori sono identici all’originale e le musiche sono estremamente fedeli.
Amiga & Atari ST
Per i computer 16 bit dell’epoca lo sviluppo del gioco fu abbastanza travagliato. La prima piattaforma sulla quale si puntò fu Atari ST, ma i limiti della macchina furono da subito evidenti. Da qui la bizzarra idea della Elite di spezzare il gioco in due parti, ognuna di 10 livelli. In pratica sarebbe dovuto uscire il gioco e in seguito un disco dati a completamento. Ma nel 1988 vide la luce solo il primo disco contenente soli 10 livelli di gioco. Nel frattempo partì la programmazione della versione Amiga, che si rivelò quasi totalmente una conversione diretta della versione Atari, con solo l’audio più curato, e come tale anche essa era ridotta: solo nel 1990 uscirono le versioni contenenti 20 livelli.
A livello di realizzazione si deve subito dire che le fasi bonus non sono presenti. Una delle peculiarità di entrambe le versioni è che erano giocabili solo col il mouse. Il gioco in se era colorato e abbastanza veloce, a patto di non avere troppi elementi su schermo. In tal caso i rallentamenti sono inevitabili, particolarmente noiosi quando si presenta un boss di fine livello.
Riflessioni del Biker
Un gioco che fu una delle superstar di un’epoca e che continua a raccogliere elogi per le sue caratteristiche. Non si smette mai di parlare di Space Harrier, e Trevor Wilson nel 2006 affermò: “E ‘facile capire perché il gioco è così amato anche oggi: per la sua velocità accecante e le melodie classiche”. Nel 2008, l’ editore Darran Jones descrisse il gioco come “difficile ma di una bellezza che anche oggi stupisce. Possiede un’eleganza sorprendente che ti spinge a giocarci per un altro tentativo”. In effetti è impossibile non restare stupiti da questo capolavoro: è uno spettacolo da vedere, un’esplosione di colori e di ambientazioni fantasy incredibili. Suzuki ha creato qualcosa che va oltre il semplice gioco dove si spara ad ogni cosa, è quasi pittorico come un quadro in movimento.
La velocità con cui tutto si muove è impressionante anche oggi, l’eleganza e la bellezza di quello che vediamo su schermo è quasi introvabile. Ricordo come all’epoca restavo folgorato da quella velocità pazzesca ma non caotica. Sono passati decenni, giochi veloci ne ho giocati tanti ma nessuno mi ha mai lasciato di stucco come Space Harrier. Una delle affermazioni che maggiormente riassumono cosa vuol dire giocarci la disse Eric Francisco nel 2015: “Immagina un viaggio acido attraverso un anime degli anni ’80, un romanzo di Robert Jordan e le prime sessioni di binge coding della Silicon Valley “. Ed è tutto dannatamente vero.
Mic the Biker vi saluta e vi da appuntamento al prossimo viaggio nel tempo. Ora qualche consiglio per voi