Shadow of the Beast, dal caso alla leggenda.

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Ciao a tutti amici di CommodoreBlog oggi parlerò di Shadow of the Beast. Prima o poi doveva arrivare il giorno in cui mi sarei dovuto cimentare in questa sfida non semplice. Un titolo ingombrante come pochi altri, un gioco che deve, a mio avviso, essere visto con un occhio che va oltre il mero aspetto videoludico. La DeLorean è pronta, allacciate le cinture: si parte!

Shadow of the Beast, periodo storico

Eccoci arrivati nel 1989, toccate le 88 miglia orarie ci siamo ritrovati in Corso Peschiera, direzione Piazza Sabotino. Parcheggiamo la nostra macchina del tempo tra una fiammante Fiat Uno bianca e un bellissimo Renault 5 grigio metallizzato e scendiamo. L’aria è frizzante, la strada brulica di persone che vanno avanti e indietro con le teste alte visto che nessuno è impegnato a camminare fissando lo smartphone. Lo sguardo mi si ferma alle cabine del telefono di Piazza Sabotino. Ve ne sono tre in mezzo alla piazza, tutte occupate. Ma anche agli incroci se ne vede sempre almeno una.

Le cabine telefoniche

Vi ricordate come erano le cabine del telefono? In quegli anni esisteva ancora la SIP ed erano del modello Rotor II: dei parallelepipedi di ghisa arancioni con funzionamento a monete e tastiera a pulsanti. Spesso a fianco era apposto un lettore di schede, costituito da un corpo più piccolo, sempre arancione. Il suo disegno era sviluppato in modo da seguire l’andamento del corpo principale ed era delegato ad accettare le schede telefoniche, quelle da 5, 10 e 15 sacchi. Mi vengono i brividi a parlarne, alla fine non sono passati cento anni ma l’idea che ne percepiamo è quella.

L’Upim di Piazza Sabotino

Cammino folgorato dai ricordi e mi accorgo che sto passando a fianco all’Upim. Per noi della Banda di Borgo San Paolo quello era il centro commerciale degli anni 80. Al piano principale si trovano prima trucchi e profumi e poi vestiti da donna e da uomo, roba mica male sapete? Poi la scala mobile ci portava al piano di sotto dove si passava dalle pentole alla cancelleria per la scuola, dai giochi agli articoli regalo. Era un buon modo per passare un’oretta, specialmente in inverno e al caldo. C’era anche un ingresso – uscita su Via Cesana e noi sapevamo che, anche se c’era l’antitaccheggio, non funzionava. E solo noi sappiamo quanta roba è uscita da quella porta!

Via Pollenzo, una via ricca di tesori

Proseguendo la mia camminata passo oltre e attraverso la Piazza. Ecco Via Monginevro, uno dei crocevia cardine per noi della banda. Si tratta, per questo viaggio, di attraversare per puntare alla via seguente, la Via Pollenzo che già più volte ho nominato. Per noi della Banda di Borgo San Paolo era una delle arterie vitali delle nostre giornate. In questa piccola e stretta via si trovavano due cuori  pulsanti: la GBC, negozio di elettronica di ogni genere, e Marchisio.

Marchisio, più che un negozio una seconda casa

I fratelli e la mamma, la signora gentile, erano più di semplici negozianti per noi: erano quelli che ci facevano vedere i giochi, che ci consigliavano. Non era il classico punto vendita di videogames e computer perchè i fratelli, oltre a vendere, sapevano davvero smanettare. Il negozio stesso era diverso, era davvero la tana del nerd. Esteticamente non vi erano fronzoli ne ricercatezze, pareva più il laboratorio di uno scienziato. Sui computer all’interno non giravano le demo dei giochi del momento ma c’era sempre qualche programma strano o qualche listato in corso. Era piccolo se raffrontato a molti altri negozi ma qui trovavi cose che negli altri non esistevano. Ma soprattutto erano persone che ti entravano nel cuore. La signora gentile era mamma prima di tutto e lo si vedeva quando andavo a comprare il gioco tanto desiderato. Spesso non avevo tutti i soldi necessari ma lei, con il suo sorriso, mi diceva “Me li porti poi un’altra volta”.
Quella frase era per me una missione, perchè non sarei stato a posto con me stesso finchè non fossi passato a saldare quella manciata di mila lire. E nella vetrina di Marchisio, in quel 1989 da sogno, c’era lui: Shadow of the Beast.

Shadow of the Beast, sfavillante

Lo vedevi, non potevi non farlo e il motivo è presto spiegato: PSYGNOSIS faceva realizzare le illustrazioni dei suoi giochi a grafici affermati. Per Shadow of the Beast collaborò ROGER DEAN, famosissimo illustrator. In copertina vediamo due creature stile bio meccaniche inserite in un contesto alieno.
L’illustrazione serve al suo scopo, attira immediatamente lo sguardo. Poco importa se non abbia nulla a che vedere col gioco. Perché, e voglio dire subito il mio pensiero, Shadow of the Beast è soprattutto una vetrina, un esercizio, rappresenta l’apparire e come tale deve esserlo fin dal primo contatto. Su Amiga il gioco è racchiuso in un box doppio, contenente i due dischi, il manuale e una T-shirt con sopra raffigurato il logo del gioco.Il tutto ad un prezzo pari a 69.000 lire, settanta sacchi.

Shadow of the Beast by Reflections

Shadow of the Beast è stato sviluppato da Reflections nella sua versione originale rilasciata per Amiga e successivamente convertito su molti altri sistemi. La dinamica di gioco è mista: abbiamo tanta azione, piattaforme, scrolling orizzontale e verticale, e una spolverata di avventura esplorativa.
Gli antefatti raccontati sono i seguenti: un uomo di nome Aarbron viene rapito da bambino e mutato con la magia in un mostruoso guerriero alle dipendenze del malvagio Maletoth. Un giorno, mentre assiste all’esecuzione di un uomo, i ricordi della sua vita passata emergono poderosi. Quando Aarbron realizza che quell’uomo era suo padre, giura vendetta su Maletoth. Inizia qui il suo viaggio, lungo e pericoloso, attraverso il terreno ostile pregno di forze nemiche. Questo viaggio lo porterà faccia a faccia con una creatura gigantesca le cui uniche parti del corpo visibili sono la mano e il piede. Sconfiggendo la creatura, Aarbron viene liberato dalla sua maledizione e tornerà umano.

Ecco a voi Amiga

Inizialmente ci troveremo in un mondo pianeggiante e potremo scegliere di andare o a destra o a sinistra. La nostra scelta ci farà arrivare alla grotta sotto l’albero o al castello.
Questa prima ambientazione è entrata letteralmente nella storia: mai prima d’ora Amiga aveva dato sfoggio delle sue capacità. Ricordo come fosse ieri la prima volta che lo vidi: eravamo in via Malta, a casa di Vincenzo e restammo per minuti interi a fissare il televisore con la bocca aperta. Grafica e sonoro erano di un altra dimensione, qualcosa di umanamente inimmaginabile.

La dinamica di Shadow of the Beast

Il personaggio principale può accovacciarsi, saltare, salire e scendere le scale. Le nostre armi per liberarci dai nemici sono un pugno o con un calcio. Gli esseri che intralciano il nostro cammino appaiono con un ritmo rapido, seguendo un percorso prestabilito. Il principio è piuttosto semplice: memorizzare la posizione dei nemici e dei pericoli, appariranno con un ritmo costante. Ci sono 132 sprite tra mostri e pericoli, che sono molti. Alcuni di questi sono costituiti da troll, fantasmi, rettili, creature raccapriccianti, occhi che rimbalzano, zanne insanguinate e mani giganti che sbucano dal suolo.
Prima ho accennato ad una spolverata di avventura: questo aspetto è molto limitato alla ricerca di alcuni elementi utili ad accedere a nuove aree. Di tanto in tanto un boss ci bloccherà la strada: per sconfiggerlo dovremo avere con noi un oggetto particolare. Questa è una delle trovate più stressanti del gioco, che è la punta dell’iceberg del più grosso problema, ovvero l’assurda difficoltà di cui parleremo più avanti.

Shadow of the Beast, un gioco da mostrare

La cosa più lampante era l’aspetto tecnico: Shadow of the Beast era IL gioco che si caricava quando veniva qualcuno a casa e lo volevi impressionare. “Dammi pure 200 lire che qui è come essere in sala giochi” eravamo soliti asserire con orgoglio, perchè il gioco era  graficamente e sonoramente di un altro pianeta. Centoventotto colori contemporaneamente su schermo, animazioni fluidissime, scrolling con tredici livelli di parallasse sia per la pavimentazione che per i fondali. Alla fine lo si caricava e non si procedeva neanche tanto perchè andare avanti e indietro cercando di carpire ogni sfumatura di quella grafica era un gioco nel gioco.
Ed era ottima anche la caratterizzazione dei protagonisti: la nostra bestia era davvero affascinante, grande cura nel dettaglio per tutti i giganteschi boss, 132 sprite differenti, che costituivano i nemici minori. Con questi numeri c’era davvero tanta di quella roba da poter impressionare chiunque. E che dire del sonoro, che sonoro venne sfruttato magistralmente. Tutto questo grazie a David Whittaker, un nome che è una garanzia. Egli tirò fuori dei pezzi che si cucivano addosso a quell’ambientazione, sfruttando più canali audio di quanti Amiga ne potesse gestire.

La difficoltà di Shadow of the Beast

Prima abbiamo accennato alla difficoltà del gioco, decisamente calibrata male. Non è solo questione di difficoltà oggettiva o di alcune sezioni particolarmente stressanti. Qui siamo davanti a un qualcosa di voluto ma che per l’utente finale viene percepito come un aspetto non preso in considerazione. Innanzitutto abbiamo una sola vita, a sua volta suddivisa in 12 punti ferita: ad ogni contatto con un nemico o una trappola l’indicatore scende di uno. Certo, in giro si possono trovale le fiale di energia che sono in grado di rigenerare tutta o in parte la salute. Ma non è sufficiente: la difficoltà del gioco è sbilanciata, alcuni punti risultano insormontabili.

Una fuoriserie senza controllo

Ci troviamo davanti alla classica macchina spettacolare, dal motore portentoso ma che fatica ad andare anche solo dritta. Tutta questa manna audio visiva non trovava gli stessi valori nella giocabilità del prodotto finito. La lunghezza totale è poco più di mezz’ora e per portare a termine il gioco in teoria bastava memorizzare lo schema di movimento dei vari nemici. Esatto, le famose 200 lire per una partita ad un arcade si vedevano anche in questo aspetto, i nemici hanno un’intelligenza artificiale molto carente, ma nella maggior parte delle situazioni non bastava avere dei buoni riflessi. Una grossa pecca in questo senso era il fatto che il giocatore doveva colpire a distanza ravvicinata a causa delle mosse con un raggio troppo limitato. Questo rendeva le sessioni di gioco alquanto frustranti anche per chi ci passava ore ed ore sopra.

Shadow of the Beast, nato per caso

Per meglio comprendere Shadow of the Beast a questo punto è necessario fare una serie di analisi, prendendo in considerazione contesto e periodo storico, andando a cercare la storia che si cela dietro di esso. La prima cosa che stupisce è proprio che il gioco nacque per caso: è stato progettato da Martin Edmondson e Paul Howarth di Reflections Interactive nel corso di nove mesi ed è stato il loro secondo gioco a 16 bit dopo Ballistix.
Le parole dei realizzatori ci spiegano la questione: “Martin ed io siamo stati in visita alla Psygnosis per terminare Ballistix. Abbiamo colto l’occasione per mostrare loro la tech-demo che ho creato per dimostrare le reali capacità tecniche di Amiga. Sono letteralmente impazziti dai miei 13 strati di scrolling pallattico e volevano firmare un nuovo contratto immediatamente. Tuttavia ero molto preoccupato: il mio demo mostrava solo lo scrolling e non ero nemmeno sicuro se fosse possibile aggiungere uno sprite. Il capo della Psygnosis mi rassicurò dicendo non ti preoccupare, si troverà una soluzione”.

Uno sfoggio di potenza

Più che un gioco studiato e ponderato Shadow of the Beast è uno sfoggio di potenza delle reali capacità di Amiga. Edmondson e Howarth lo hanno descritto come il loro “progetto più ambizioso fino ad oggi”. Essi  volevano che il gioco spingesse sia Amiga che Atari ST ai loro limiti tecnici. Per ottenere ciò è stata scritta per prima la versione Amiga, in modo da sfruttare tutte le capacità hardware avanzate del computer. Gli sviluppatori hanno utilizzato gli sprite hardware e lo scrolling invece di usare il blitter, affermando che “il blitter non funziona così velocemente come alcune persone potrebbero credere”. Per ottenere la velocità desiderata gli sviluppatori hanno impiegato tecniche difficili come lo sprite multiplexing. Tutto il processo di programmazione evolveva verso le prestazioni totali, non riusciva però ad essere un gioco lungo o longevo.

Progettato per essere difficile

Perciò è stato progettato per essere il più difficile possibile: Edmondson ha asserito che all’epoca gli piacevano i giochi difficili che si sentiva frustrato al pensiero di creare un gioco facile. Scavando nelle pieghe della storia escono fuori, a distanza di decenni, affermazioni che riflettevano quella febbre da programmazione. In un intervista i due realizzatori dissero che “A parte quanti colori, strati di parallasse e mostri potevamo mettere sullo schermo, nessuno pensava assolutamente alla giocabilità ” e definiscono Shadow of the Beast una “Vetrina grafica”.

Parallasse e curiosità

Ovviamente una delle domande più ricorrenti sono quelle sullo scorrimento parallattico: Edmondson afferma che “In Beast abbiamo scelto il modo più ovvio e più semplice per farlo, il problema era che non potevi avere mostri che correvano in primo piano allo stesso tempo. Dovevano essere molto distanziati e per nulla vicini a parti tecnicamente impegnative della mappa”. Ecco perchè spesso i nemici, soprattutto quelli più grossi, li trovavi in zone di gioco particolarmente scarne. Molti anni dopo il team affermò che “il codice originale di Beast era veramente pessimo. È stata la prima cosa che abbiamo davvero fatto seriamente e, ripensandoci, è molto lento e inefficiente. Avrebbe potuto essere eseguita 10 volte meglio”.

La magia audio di Whittaker

A tutto questo si doveva affiancare un comparto audio dello stesso livello, per questo fu chiamato David Whittaker. Egli scrisse sei brani musicali principali, ognuno dei quali contiene il proprio sotto tema che si adatta alle scene di gioco. Gli strumenti sono stati creati utilizzando il sintetizzatore Korg M1 e poi campionati a 20 kHz. E così una dimostrazione tecnica di quello che una macchina come Amiga poteva fare si trasformò in leggenda, qualcosa che nel 1989 strabiliò tutto il mondo.

Shadow of the Beast, non c’era niente a quel livello

Certe meraviglie, fino a quel giorno, erano relegate al campo non commerciale delle demo. Shadow of the Beast offriva quanto di più strabiliante ed innovativo si potesse ottenere all’epoca. Una grafica eccelsa, in grado di stupire chiunque, non soltanto chi fosse in grado di capirne lo sforzo progettuale: fu anche grazie a questo titolo che Amiga esplose sul mercato degli home computer. E’ un pezzo importante nella storia dei videogiochi, forse la prima testimonianza del nuovo che avanza, il primo segnale che il futuro, quel futuro, era a 16 bit.
Ed è quasi incredibile che il manifesto della potenza delle moderne macchine domestiche fosse un gioco tecnicamente eccelso ma sbilanciatissimo. All’epoca i giochi erano tutti abbastanza difficili, questo ci sembrava solo più difficile degli altri: eravamo degli inguaribili ottimisti.

Riflessioni del Biker

Sono passati una marea di anni e una domanda mi ha sempre assillato: qualcuno è riuscito a finire Shadow Of The Beast senza cheat? Io di giochi ne ho passati veramente tantissimi ma questo rimane uno dei più difficili che io abbia giocato non solo su Amiga ma in generale. Non abbiamo a che fare con un gioco semplicemente difficile, parliamo di un gioco in cui hai una sola vita, una barra di energia che finisce in tempo zero e che quando termina è tutto da rifare. I nemici arrivano di colpo sbucando da ogni dove, il tutto ad una velocità indecente. Si deve memorizzare alla perfezione la dinamica in cui i mostri attaccano, pratica comune all’epoca ma non sufficiente: bisogna colpirli quando si trovano a distanza di braccio, al netto dei boss che senza l’oggetto giusto non muoiono. In alcuni frangenti attaccano in blocco, costringendoci a manovre tarantolate col Joystick e a proferire bestemmie da inferno sicuro.
Ogni volta che moriremo, dovremo ricominciare dall’inizio per tornare nel punto fatale e rifarlo, nella speranza di andare anche un po’ più avanti. Eccessivo anche per noi videogiocatori dell’epoca, dove i giochi in cui potevi salvare erano più unici che rari. Ma noi non mollavamo, ci sparavamo ore di partite senza sosta pur di finire un gioco. Una volta entrati in possesso dei trucchi lo si affrontava con la bava alla bocca, era la nostra piccola rivincita, e una volta finito ci si rendeva conto che è anche un po ripetitivo. Ma l’ombra della bestia, nato per sbaglio, è diventato uno dei simboli di Amiga, un vero pezzo di storia video ludica.

Due cheat per Shadow of the Beast

VI è tornata voglia di rivedere quella meraviglia? Magari senza uscire pazzi, visto che se era difficile allora lo è ancor di più oggi, abituati a giochi che paragonati alla bestia sono da casa di risposo. Allora ecco qui alcuni magnifici trucchi. Vite infinite: Tasto Destro + Tasto Sinistro del mouse + Fuoco nello schermo dei titoli fino a che non apparirà il prompt per inserire il disco due.
Se non vi bastasse ecco anche Invincibilità: Fuoco + Tasto Sinistro del mouse alla fine della schermata dell’introduzione iniziale mentre il gioco sta caricando. Tieni premuti i tasti fino a che non apparirà il prompt per inserire il disco seguente.
Bene cari amici, Mic the Biiker vi saluta e vi da appuntamento al prossimo viaggio temporale alla riscoperta dei giochi che hanno segnato la nostra vita.
Ora qualche articolo per voi, direttamente dal nostro blog.

Michele Novarina

Mic, tre lettere come negli highscore di una volta. Appassionato di videogames dagli albori degli anni 80.

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