Ebbene si affezionati lettori, l’articolo è di quelli importanti. Olivetti per me, che vivo in provincia di Torino da sempre, ha sempre avuto un fascino incredibile. A noi ragazzini un tempo giovani questo nome ci faceva pensare alla fantascienza arrivata nel mondo reale. La storia di Olivetti ci fa capire come eravamo e cosa rappresentava l’Italia a livello mondiale. Ci fa tristemente vedere come il lavoro tenace e costante dei nostri vecchi sia stato buttato nel cesso dai nostri giovani e da una politica globale suicida. Ma andiamo con ordine.
L’inizio di un lungo viaggio
Bisogna anche oggi salire sulla nostra amata Delorean e partire per un affascinante viaggio indietro nel tempo. Un viaggio che ha il suo inizio agli inizi del 1900. Voglio riportare qui uno stralcio di quello che fu il contratto di nascita dell’azienda. “L’anno 1908, li 29 del mese di ottobre nella città di Ivrea ed in loco proprio del Signor Ing. Camillo Olivetti situato alla regione Ventignano e Crosa, avanti a me Gianotti Cav. Felice regio notaio iscritto presso il Collegio Notarile di Ivrea, ivi residente, coll’intervento dei testimoni sotto nominati…». 1908. Nel campo informatico è paragonabile al precambriano.
Olivetti, l’inizio e le macchine da scrivere
Ovviamente la società non era nata subito con l’idea di produrre calcolatori. Il capitale era di 350.000 lire, Camillo vi partecipò con 220.000 lire costituite dal valore di alcuni terreni e di un fabbricato industriale. Una volta procuratosi i macchinari necessari per le lavorazioni che egli aveva in mente il buon Camillo sistemò la sede dell’azienda. Sul tetto della fabbrica a due piani in mattoni rossi venne affisso un cartellone che riportava la scritta: ING. C. OLIVETTI & C. PRIMA FABBRICA NAZIONALE MACCHINE PER SCRIVERE.
Un puntino tra la campagna
Al tempo la città di Ivrea era un puntino urbano in mezzo a campi coltivati. Il canavese era una grande zona rurale e Ivrea pareva distante anni luce da Torino. Per capire la grandezza dell’impresa messa in atto dal signor Camillo prendiamo i freddi numeri ed esaminiamoli. In quel di Torino la Fiat fu fondata solo 10 anni prima e aveva nel suo organico 50 operai. La neonata Olivetti aveva 4 ragazzini totalmente inesperti ai quali Camillo stesso insegnava le basi della lavorazione meccanica e di aritmetica.
Adriano Olivetti
Gli anni passavano, in quegli anni le tempistiche per fare crescere un’azienda erano molto dilatate, non c’era l’obbligo di dover produrre prima ancora di aprire per pagare quello che già hai da pagare senza avere ancora aperto. Nel 1932 Adriano Olivetti, figlio di Camillo, divenne presidente della società.
Sotto la sua guida vedono la luce le prime macchine avveniristiche per i tempi. Nel 1940 arrivò la prima addizionatrice mentre nel 1945 vide la luce la Divisumma 14, messa in commercio nel 1948.
Olivetti divisumma 14
Era la prima calcolatrice scrivente al mondo in grado di compiere le quattro operazioni. Voglio porre l’accento sul concetto di “al mondo” negli anni 40. Parliamo di qualcosa di veramente epocale. E queste due parole saranno ricorrenti nella passata storia della Olivetti.
La Divisumma 14 era la prima calcolatrice scrivente dotata di saldo negativo in grado di eseguire automaticamente la divisione. Il suo funzionamento è molto simile a quello delle odierne calcolatrici, differisce per quel che concerne moltiplicazione e divisione.
Moltiplicazione…
La moltiplicazione si esegue impostando anzitutto il primo fattore dalla tastiera numerica classica. Il secondo fattore deve essere inserito col tastierino rosso partendo da destra e tornando verso sinistra. Al termine si preme il tasto con l’asterisco, ed il risultato viene stampato. La particolarità è che il primo fattore viene stampato in orizzontale, mentre il secondo in verticale; in risultato, invece, è stampato in rosso.
… E divisione
La divisione necessita di un procedimento particolare. Il dividendo si inserisce normalmente nella macchina, dopodiché si preme la barra della addizione. A questo punto si inserisce il divisore avendo la accortezza di aggiungere tanti zeri in maniera da allineare il totale delle sue cifre con quello del dividendo. Dopodiché si tira verso destra la sfera della divisione. Il risultato viene stampato in verticale, mentre in orizzontale è indicato l’eventuale resto.
Produzione d’eccellenza e guadagno
Da questo modello rivoluzionario nacquero molte altre calcolatrici al fine di proporre sempre prodotti al passo con le crescenti richieste del mercato. Quella probabilmente più redditizia per Olivetti fu la Divisumma 24. Questa venne prodotta in milioni di esemplari e venduta a un prezzo pari a circa 10 volte il costo di produzione. L’azienda era diventata un colosso non solo a livello nazionale. Nel 1955 Olivetti contava circa 50.000 dipendenti.
Capire il pensiero di Olivetti
Adriano Olivetti era un visionario, aveva il dono di anticipare le tendenze del mercato. Credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto. L’organizzazione del lavoro comprendeva un’idea di felicità collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane. Essi ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica. I dipendenti stessi godevano di convenzioni e trattamenti mai visti prima. Durante le pause essi potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c’era una divisione netta tra ingegneri e operai. Questo per fare in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti.
Il design e il suo ruolo fondamentale
A queste doti imprenditoriali univa un vero e proprio gusto ricercato per il design. Egli asseriva che la fabbrica non aveva bisogno solo di tecnici ma anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività. Per la parte estetica dei suoi prodotti furono chiamati in causa veri e propri artisti del calibro di Ottavio Luzzati, Marcello Nizzoli ed Ettore Sottass. Non è infatti un caso se molti prodotti olivetti sono esposti in modo permanente presso il rinomato MoMa di New York come esempio di design italiano.
Viene la pelle d’oca a pensare a quanto avanti era il suo modus operandi. Concetti simili e una tale organizzazione del lavoro la ammiriamo oggi in alcune ditte del nord europa. Leggiamo di come trattano il dipendente e proviamo sicuramente un poca di invidia. Ma ormai quasi nessuno si ricorda che questo status lo avevamo proprio qui in Italia. Sembra impossibile vedendo in che condizioni versa la nazione oggi.
Il design anche nell’architettura
La stessa fabbrica di Ivrea venne realizzata dagli architetti Figini e Pollini verso la metà del 1930. Icone di stile e di classe sono stati i negozi Olivetti a New York, Venezia, Parigi e Buenos Aires, tutti realizzati da rinomati architetti. Ma probabilmente l’opera summa di Adriano fu lo stabilimento in quel di Pozzuoli.
Progettato negli anni cinquanta da Luigi Cosenza, lo stabilimento è un esempio di integrazione architettonica nel panorama naturale della costa napoletana.
Olivetti, il concetto di fabbrica a misura d’uomo
All’inaugurazione del 1955 Adriano Olivetti affermò: “Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo, perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza”.
Nasce Elea 9003
Durante questa inarrestabile espansione la ditta mise a segno un numero impressionante di successi mondiali. Nel 1959 Olivetti sviluppa l’Elea 9003. Si tratta del primo computer a transistor commerciale prodotto in Italia ed uno dei primi completamente transistorizzati del mondo. Il progetto e lo sviluppo sono ad opera di un piccolo gruppo di giovani ricercatori guidati da Mario Tchou, un giovane ingegnere informatico italiano di origini cinesi.
La macchina è interamente realizzata con tecnologia diode-transistor logic ed era dotata di capacità di multitasking, potendo gestire tre programmi contemporaneamente.
La potenza del calcolatore
Elea 9003 fu commercializzato in circa 40 esemplari, uno dei quali si trova nell’istituto ITIS Enrico Fermi di Arezzo ed è perfettamente funzionante nonchè utilizzato a scopi didattici. La potenza di calcolo era di circa 8-10000 istruzioni al secondo e fu per alcuni anni superiore a quella dei concorrenti. Il computer disponeva di una memoria a nuclei di ferrite di 20000 posizioni, estendibile fino a 160000. In una posizione di memoria si poteva scrivere un solo carattere alfanumerico.
Quando il sistema operativo non c’era
Un’istruzione era composta da 8 caratteri e veniva letta in 80 microsecondi. Il calcolatore non disponeva di un sistema operativo, esigenza allora sconosciuta, e lo si poteva programmare mediante linguaggio base o linguaggio macchina. Il calcolatore si presentava composto da moduli compatti ben diversi dagli avversari dell’epoca che sembravano grandi armadi alti fino al soffitto.
Sottas ed Olivetti, arte e tecnologia
Esteticamente fu curato da Ettore Sottass, il quale pensò veramente a tutto in chiave design. Ad esempio il cablaggio tra i diversi moduli, anziché sotto-pavimento, avveniva in eleganti condotti aerei, realizzati con blindosbarre progettate ad hoc. Si tratta di uno dei prodotti di design italiano più rilevanti del ventesimo secolo. Nel primo anno di commercializzazione vinse il premio Compasso d’Oro e negli anni successivi si inserì nelle collezioni permanenti dei più importanti musei dedicati al disegno industriale di tutto il mondo.
Muore Adriano Olivetti
Il 1960 fu un anno funesto per l’azienda. Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti, nei pressi di Aigle, fu colto da un’improvvisa emorragia cerebrale. Dato che non fu eseguita l’autopsia le ipotesi di complotto si sprecarono. Tale teoria divenne ancora più forte in seguito alla desecretazione di documenti della CIA. Infatti venne confermato che l’industriale fu oggetto d’indagini da parte dell’intelligence statunitense: al momento del suo decesso, l’azienda vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali.
Il gigante traballa ma resta in casa
La prematura scomparsa di Adriano mise in seria difficoltà l’azienda. Lui, e il padre prima di lui, erano riusciti fino a quel momento a tenere ben salde le redini del comando. Gli azionisti di maggioranza erano tutti discendenti diretti di Camillo, avevano in mano il 70% delle azioni e mancando una figura forte al timone nacquero delle lotte intestine tra i familiari. Su tutti spicca la figura di Roberto Olivetti, primogenito di Adriano.
Roberto Olivetti e primi problemi
Laureato nel 1952 in economia aziendale presso l’Università Bocconi di Milano e specializzatosi all’Università di Harvard in business administration, ne divenne Amministratore delegato nel 1962. Roberto prende il timone dell’azienda di famiglia coadiuvato dal cugino. Nel 1963 viene acquisita l’americana Underwood Typewriter Company: Olivetti diviene ufficialmente un colosso industriale internazionale. Questo ingrandirsi portò un grande esborso di danaro non bilanciato dalla crisi in cui era entrata l’azienda.
L’arrivo di nuovi soci
Da un lato l’avvento di alcune avanzate macchine elettroniche molto prestanti dal giappone resero vetuste quelle italiane. Dall’altro la maggior parte di banche, industrie e pubblica amministrazione italiana continuava ad acquistare prodotti americani. Fu necessaria una rivoluzione ai vertici e questo avvenne con l’ingresso di nuovi soci che entrano nel capitale Olivetti. Essi furono la Fiat, la banca IMI, la Centrale, Mediobanca (allora statale come IMI) e Pirelli.
Olivetti e General Electric
Nel 1964 la carica di amministratore delegato passa ad Aurelio Peccei, sospinto in pompa magna dai nuovi investitori. E’ in questo periodo che viene effettuata la vendita della Divisione Elettronica di Olivetti alla americana General Electric. Il nuovo management puntò tutto sul lancio della nuova Logos 27, una calcolatrice ancora della tradizionale tecnologia meccanica. Questo prodotto non fu in grado di reggere la competizione con le prime calcolatrici elettroniche prodotte da aziende giapponesi e tanto meno con un prodotto elettronico della stessa Olivetti.
Programma 101
Infatti lontano dalla luce dei riflettori Roberto Olivetti rimase in stretto contatto con il gruppo dell’ingegner Pier Giorgio Perotto, che stava sviluppando il progetto sperimentale della Programma 101.
Le due nuove macchine furono presentate alla fiera di New York del 1965. Nel grandioso stand allestito per la Logos 27 la P101 venne relegata in una saletta di fondo. Appena i visitatori la notarono, essi entrarono massicciamente nella stanza per osservare il prodotto. Nei giorni seguenti il personale dello stand dovette improvvisare un servizio d’ordine per regolare l’afflusso di visitatori.
Olivetti P101, una cosa mai vista
Molte persone erano rimaste stupefatte dalle caratteristiche del macchinario. Esso permetteva di eseguire operazioni piuttosto complesse per il tempo occupando uno spazio ridotto. La P101 poteva stare sopra una scrivania, pur dando la possibilità eseguire programmi completi, come i grandi calcolatori dell’epoca. Tutto ciò fu possibile grazie ai progressi effettuati dall’Olivetti nell’ambito dell’elettronica.
Il primo computer programmabile
Per comprendere veramente l’immensità e la genialità del progetto bisogna ricordare che è considerato il primo “computer desktop” commerciale programmabile, motivo per cui viene definito anche come il primo Personal Computer della storia. L’espressione “personal computer” non va intesa nell’accezione affermatasi in seguito, poiché i computer dell’epoca erano concepiti in modo molto diverso. La macchina era dotata di funzioni logiche, salti, registri, memoria interna e possibilità di salvare dati e programmi su un supporto magnetico esterno. Si poteva lavorare su dati alfanumerici o solo numerici.
Olivetti e i numeri della P101
Ogni registro della P101 può contenere 24 istruzioni composte ognuna da un carattere e un simbolo oppure un numero fino a 22 cifre o due numeri fino a 11 cifre. Il linguaggio di programmazione è alfanumerico e simbolico, analogo a quello dell’Assembler. La P101 gestiva automaticamente la virgola mobile e disponeva di funzioni matematiche complete, cosa non sempre presente nei grandi elaboratori esistenti fino a quel momento.
I programmi venivano memorizzati su schede delle dimensioni approssimative di 10 centimetri di larghezza per 20 di lunghezza, che ospitavano due piste magnetiche. Il codice di un programma poteva usare fino a 120 istruzioni memorizzate su uno dei due lati della cartolina magnetica: ogni istruzione occupava “1 Byte”. Era possibile anche usare programmi composti da più di 120 istruzioni utilizzando entrambi i lati di una cartolina magnetica.
Coi salvataggi si allargava l’orizzonte
Vi era anche la possibilità di usare più cartoline magnetiche, salvando i dati temporanei del programma in esecuzione nei registri di memoria. Nella P101 era possibile creare dei sotto-programmi caricabili tramite cartolina magnetica dopo aver caricato il programma principale, per modificarlo o inserire altri dati. La memoria era organizzata in 10 registri: 3 di calcolo, 2 di memoria, 3 di memoria dati e/o memoria di programma e 2 riservati alla memorizzazione del programma.
Nessun processore
La macchina non era dotata di microprocessore, come d’altronde non lo era nessun computer realizzato fino a quel tempo. La memoria di lavoro era a linea di ritardo magnetostrittiva della capacità di meno di un quarto di kilobyte. L’elettronica era realizzata con transistor in package TO-18 e diodi montati su basette in bachelite.
Olivetti P101 e lancio mondiale
Per il lancio fu deciso il mercato statunitense. La produzione ebbe un notevole impulso quando la General Electric manifestò la sua intenzione di uscire dal mercato dell'”office”, essendo interessata solo ai computer. Questo spinse molti progettisti e ingegneri, che erano rimasti con tutta la loro struttura “office” nella nuova società, a rientrare nella Olivetti. Il primo acquirente della P101 fu la rete televisiva NBC. Acquistò 5 esemplari per computare i risultati elettorali da fornire ai propri telespettatori.
Vendite stratosferiche
Le vendite ebbero talmente successo che alla fine del 1966 la Underwood, ditta statunitense controllata dalla Olivetti, chiese di poter fabbricare le macchine sul suolo degli Stati Uniti per poter rifornire gli uffici delle amministrazioni federali di quel Paese. La concorrenza era totalmente spiazzata. Per cercare di non rimanere tagliata fuori Hewlett-Packard produsse, sull’idea costituiva del P101, un analogo dispositivo chiamato HP 9100A.
Royalties e la curiosa storia del brevetto
Rilevata però la violazione dei diritti della P101 la ditta americana dovette pagare ad Olivetti i diritti di royality per una cifra di 900000 dollari. Curiosa fu la storia per depositare il brevetto della P101. Le leggi americane infatti prevedono la registrazione solo a persone e non ad aziende. Perciò la registrarono a nome del signor Perotto, il quale in seguito cedette il brevetto alla Olivetti alla simbolica cifra di un dollaro. Perotto, con una sana dose di umorismo, affermò anni più tardi che «mai un dollaro fu speso meglio da un’azienda».